Cento anni fa, il 20 gennaio 1920, nasceva Federico Fellini, forse il più grande regista italiano di tutti i tempi, autore di capolavori immortali che hanno segnato in maniera indelebile la storia del cinema italiano e internazionale, tanto che “felliniano” è diventato un termine consueto nel dibattito cinematografico per descrivere alcune specifiche caratteristiche che contraddistinguono un’opera filmica. Creatore di un’arte onirica e psicanalitica allo stesso tempo, condita con una marcata e sagace ironia, Fellini ha plasmato uno stile personale inconfondibile e ha incarnato, e tutt’ora in parte incarna ancora, l’immaginario italiano nel mondo. I suoi film hanno vinto quattro premi Oscar per il miglior film straniero, è stato nominato 12 volte come miglior regista e miglior sceneggiatore e si è guadagnato un Oscar onorario nel 1993, pochi mesi prima della sua morte.
Nato sulla costiera di Rimini inizia la sua attività lavorativa facendosi le ossa come giornalista e vignettista prima di approdare al mondo del cinema, che sempre lo aveva affascinato. Notato per il suo enorme talento ha il primo grande incarico come co-sceneggiatore di Roma, città aperta di Roberto Rossellini, il film che ha segnato l’avvento del neorealismo italiano. In seguito assistente alla regia di Paisan di Rossellini, firma poi con Le luci del varietà la sua prima regia in co-direzione nel 1952, per giungere l’anno successivo alla sua prima regia totalmente personale con Lo sceicco bianco. Da qui la sua carriera è tutta in ascesa, con ampi riconoscimenti di pubblico e critica e ottimi finanziamenti per la realizzazione dei suoi lavori.
Le sue opere visionarie e intrise di satira e malinconia hanno coniugato la sua personale interiorità con vedute universali e letture originali del mondo, contribuendo in maniera unica alla crescita della Settima Arte. Vediamo dunque i 10 film più significativi della sua carriera, che vanno assolutamente recuperati per capirne la poetica e l’importanza nella storia del cinema.
I vitelloni (1953)
Storia di una banda tutta maschile di fannulloni nel passaggio tra gioventù ed età adulta, è un racconto che attinge dall’adolescenza del regista. Film malinconico ma al contempo molto divertente, ambientato in una città della costiera emiliana che potrebbe essere Rimini, è impreziosito da una delle più ispirate partiture di Nino Rota, compositore con cui Fellini stringerà un sodalizio lungo quasi tre decenni per le colonne sonore dei suoi film, fino alla scomparsa di Rota nel 1979. I vitelloni segue i cinque uomini ormai adulti ma bloccati ancora nell’adolescenza per comportamenti e modi di fare, oziosi e viziosi, dediti al divertimento frivolo. È una bellissimo commedia drammatica sul rifiuto di crescere che segna l’avvio di alcuni marchi di fabbrica del regista come l’ossessione per il circo e l’umorismo tendente all’assurdo. Vincitore del Leone d’argento alla Mostra del Cinema di Venezia, è un film che riesce a leggere la realtà sociale in cui è inserito e che vede la partecipazione di Alberto Sordi, che da qui in poi si lancerà tra i maggiori interpreti della commedia italiana.
La strada (1954)
È il film che segna la vera svolta internazionale per Fellini, con la prima vittoria agli Oscar per il miglior film straniero e la vera consacrazione al di fuori dell’Italia e dell’Europa. Il primo film con il quale si è iniziato ad utilizzare l’aggettivo “felliniano” per identificarne le peculiarità artistiche. È la storia di Gelsomina, interpretata da Giulietta Masina, una povera ma dolcissima ragazza con lieve ritardo mentale che viene venduta dalla madre al brutale saltimbanco Zampanò, che la sfrutta e la sevizia, trattandola con grande crudeltà e violenza. È il film che segna la definitiva rottura di Fellini con il neorealismo a cui è stato inizialmente vicino e che lo proietta nel mondo del cinema come vero e proprio autore. Ne La strada troviamo tutte le caratteristiche peculiari del suo cinema: la fusione della fantasia barocca con il realismo, la visione estremamente personale, la presenza del circo, della strada e della spiaggia come elementi simbolici, personaggi iconici come il matto e il maschio narcisista, l’alternanza di feste e spettacoli con momenti malinconici e di rottura dell’illusione.
Le notti di Cabiria (1957)
Con questo film Fellini ha iniziato a sviluppare alcuni degli elementi principali che esploderanno poi nei suoi film successivi di maggior successo come La dolce vita e 8 ½. È la storia di una prostituta romana dal cuore d’oro, interpretata nuovamente da Giulietta Masina, e che ha grandi affinità con la Gelsomina de La strada. Costantemente sfortunata nella vita, perennemente picchiata e mal trattata, mantiene comunque un grande ottimismo di fondo e la speranza di trovare il vero amore. Un film tragicomico intriso di momenti fantastici e surreali, che inserisce un’altra figura ricorrente della filmografia felliniana, dopo quelle portate precedentemente, ovvero quella della prostituta. Ma è una prostituta che non ha nulla in comune con i classici stilemi delle sue colleghe, a partire dal suo carattere ingenuo e dolce. Il film rappresenta una bellissima ricerca del riscatto in un mondo decadente, uno spaccato esistenziale che ci parla dei nostri fallimenti e della vana ricerca della giustizia, ma anche dell’ottimismo della volontà che può salvarci. Secondo premio Oscar consecutivo al miglior film straniero per un film di Fellini.
La dolce vita (1960)
Probabilmente il film più conosciuto e citato di Federico Fellini e uno dei film europei di maggior successo ed influenza degli ’60. Segna l’inizio di un lungo sodalizio del regista con Marcello Mastroianni e riceve la Palma d’oro a Cannes. Il film è costruito ad episodi ed è un viaggio all’interno di una Roma decadente ed edonista profondamente criticata da Fellini, attraverso lo sguardo del giornalista scandalistico Marcello Rubini, che ne rimane travolto tra tentazioni e incapacità di interpretarne gli avvenimenti. La descrizione della vita orgiastica dei ricchi romani colpì il pubblico e destò non poco scandalo, contribuendo al suo successo commerciale internazionale. Ma La dolce vita è intrisa di immagini oniriche e poetiche che hanno sdoganato il cinema d’autore nei confronti del grande pubblico, facendone un film iconico entrato pienamente nell’immaginario e nella cultura popolare. È al contempo una critica al malcostume romano, in un parallelo con la Roma antica, e un’indagine sulla ricerca della propria essenza. Fellini unisce così fantasia e storia sociale in un capolavoro senza tempo.
8 ½ (1963)
Altro film tra i più noti ed influenti del regista riminese. È il suo film più autobiografico raccontando la vicenda di un regista con il blocco dello scrittore che con ogni evidenza è specchio di Fellini stesso. Attraverso questo film inoltre l’autore ci parla del processo di creazione artistica, delle sue difficoltà, della mancanza di ispirazione e della perdita della creatività. È l’immaginazione del regista la vera protagonista e con questo film Fellini apre definitivamente il suo cinema al sogno e alle allucinazioni, scavando nella sua interiorità più profonda . È forse l’opera più moderna realizzata negli anni ’60 con la sua carica visionaria e metacinematografica, in cui ricordi distorti, sogni e realtà si mescolano fino a divenire indistinguibili come in un affresco d’arte astratta che porta però con sé un grande valore simbolico. Vincitore di due premi Oscar per il miglior film straniero e i migliori costumi, è stato d’ispirazione negli anni a venire per molti registi, come Woody Allen con il suo Stardust Memories.
Giulietta degli spiriti (1965)
Quasi un 8 ½ al femminile, che come il lavoro precedente si addentra pienamente nella dimensione onirica e del sogno, nonché il primo film a colori del regista. È la storia di una casalinga borghese di mezza età, interpretata da Giulietta Masina, e del suo interesse sempre maggiore verso la mondanità, dopo la scoperta del tradimento del marito che la fa smettere d’essere solamente un’ossequiosa moglie. Nel film si fondono in maniera straordinariamente fluida fantasia e realtà in uno dei primi film europei che ha assecondato lo spirito di liberazione femminile. Il barocchismo di Fellini è qui portato all’eccesso, condensando momenti dalla forte drammaticità ad altri prettamente grotteschi, in un connubio che esprime chiaramente lo stile provocatorio del regista. Il colore esalta la visione cinematografica in un film che prende vita da una marcata componente autobiografica legata all’incrinarsi del rapporto tra Fellini e la Masina stessi.
Roma (1972)
La città eterna è la vera protagonista di questo film a episodi dove non c’è una vera e propria unica trama, ma l’opera procede in un connubio tra autobiografia del regista e omaggio a Roma stessa. È il film nel quale il regista ha dichiarato d’aver più improvvisato, mancando in partenza di una sceneggiatura chiara e solida. Ne è derivato un prodotto fortemente poetico che diviene quasi un documentario fantastico sulla capitale d’Italia. Attraverso i vari episodi il regista racconta storie, caratteristiche e peculiarità della città in maniera stravagante ed esuberante, con alla fine l’apparizione di Anna Magnani, l’attrice simbolo del momento che incarna praticamente Roma stessa. Tra il nostalgico e l’inquisitorio Roma è un film che unisce un simbolismo di morte e decadenza ad una potenza visiva fatta di feste barocche e carnascialesche ed eccessi mondani, esaltata dalle eccelse scenografie di Danilo Donati.
Amarcord (1973)
Vent’anni dopo I vitelloni Fellini torna a raccontare la sua gioventù e la terra d’origine, con un’evocazione onirica dei suoi ricordi insiti negli anni ’20 e ’30. È uno dei film maggiormente noti del regista e il suo titolo è diventato un termine del linguaggio comune. Nell’opera si intrecciano varie storie che costruiscono il ricordo dell’autore, maggiormente addolcito e tenero rispetto al film di vent’anni prima. Ma Amarcord è anche una forte critica all’immaturità dell’Italia dell’epoca, attraverso il ritorno alla sua adolescenza difatti il regista ci mostra come il regime di Mussolini riuscisse a soddisfare le immature esigenze degli italiani. Personale ed autobiografico, ma anche modellato e di finzione, unisce nostalgia e maturità in una summa massima di questi elementi propri di Fellini. Il film ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero e numerosi premi internazionali, rappresentando al massimo la capacità dell’autore di raccontare la società e l’essenza umana attraverso la propria interiorità, riuscendo a mescolare in maniera sorprendente registri stilistici e generi cinematografici.
La città delle donne (1980)
Un film che ha portato dietro di sé un nugolo di polemiche e di accuse verso Fellini, incolpato dai movimenti femministi dell’epoca d’aver dato una cattiva immagine della figura femminile. Protagonista della vicenda è Marcello Snaporaz, una sorta di alter ego di Fellini interpretato da Marcello Mastroianni, che si muove all’interno di un contesto fatto di sole donne, in un viaggio particolarmente stravagante e surreale. È la storia di tante donne del passato e del presente viste attraverso gli occhi di un uomo che non può e non riesce a capirle. Carico di emozioni ma anche di ironia e momenti grotteschi, attraverso La città delle donne il regista afferma ulteriormente il suo disinteresse verso il consenso diffuso e il suo desiderio di esprimere la sua interiorità, i propri sentimenti anche contraddittori e la propria visione del mondo filtrata sempre attraverso il vissuto personale.
Ginger e Fred (1986)
Protagonisti sono due vecchie glorie del Tip-tap interpretate dagli attori feticcio di Fellini, ovvero Marcello Mastroianni e Giulietta Masina, che partecipano ad un programma televisivo commerciale per Natale. Questo rivela però una messa in scena svilente dove contano solo lo sfruttamento dell’immagine per fare soldi, la pubblicità e l’ego del presentatore, interpretato da Franco Fabrizi. Attraverso questa opera Fellini critica la superficialità della televisione e celebra, in un’operazione che esprime al massimo il suo carattere nostalgico, la bellezza e la purezza dei piccoli spettacoli di un tempo che non c’è più. Un film che è un duro atto d’accusa ma realizzato in maniera malinconica e dolce divenendo una riflessione importante sull’evoluzione del mondo dello spettacolo ma anche un grido d’amore per l’arte vera. Ovviamente i due personaggi protagonisti sono ispirati a Fred Astaire e Ginger Roger.